Gioca a fare Papa Giovanni XXIII, Odifreddi. Che scherza: “Stasera andate a casa e dite ai vostri bambini di fare il quadrato di un numero che finisce per 5: finirà sempre per 25”. E si sbizzarrisce con disegni colorati di quadrati costruiti su cateti e ipotenuse: si parte sempre da lì, d’altronde, dal Teorema di Pitagora. Ma qui, i grafici sembrano quadri di arte moderna. E non a caso: “Arte e scienza sono legate. Pensiamo al Mandala: l’idea non è forse quella di quadrati e poligoni uno dentro l’altro in maniera telescopica?” E a proposito di Pitagora: “Se è sempre vero che la somma delle aree dei quadrati costruiti sui cateti è uguale all’area di quello costruito sull’ipotenusa, si può applicare anche ad altri triangoli: si comincia a fare un mandala, in effetti, dove tutte le radici vengono fuori”. Per capirlo, basta prendere questi triangoli colorati e spostarli, spiega Odifreddi: “Ma come faccio a sapere che se prendo un triangolo e lo sposto quello non cambia?”. Guardare per credere. Anche perché “Il teorema di Pitagora non è solo quello imparato a scuola: si può applicare anche a poligoni non regolari”. E poi, in fondo, “l’arte moderna e la geometria antica sono quasi coincidenti. La dimostrazione del teorema di Pitagora la troviamo nei quadri”. Troppo difficile? L’importante non è capire tutto: ma lasciarsi incantare. E allora, non può mancare nemmeno un po’ di gossip scientifico. Per esempio, chi lo sapeva che Talete fosse un vero simpaticone? “Quando gli chiesero: è nato prima il giorno o la notte? Lui rispose: la notte. Il giorno prima”. Oppure, prendiamo quel precisino maniacale di Euclide. Quello che, per intenderci, nella Scuola di Atene di Raffaello è lì seduto a disegnare. “Siamo alla fine dell’epoca classica della matematica, arriva in un momento in cui c’è bisogno di tirare le somme. E la summa euclidea è un trattato fondamentale per le scuole di ogni ordine e grado. Euclide, infatti, cerca in modo sistematico di raggruppare le conoscenze fin lì acquisite. E comincia a dare definizioni: da quella di punto fino ad arrivare alle figure piane, e poi a quelle solide. Se ci mettiamo a studiare gli elementi di Euclide, entriamo in un ambito sterminato”. Poi c’è Giotto, e si dirà: che c’entra? Invece c’entra, con la sua prospettiva bizzarra e il famoso cerchio perfetto. Che, però, nascondeva un trucco, rivela Odifreddi: “Giotto ancorò il pennello al braccio, facendo una specie di compasso”. Il pezzo da novanta di questo album immaginario, però, è Archimede. “È il matematico più famoso del mondo, tanto che la sua faccia è sulla medaglia Fields, che è come dire il Nobel per la Matematica. Di Archimede si raccontano un sacco di aneddoti: si dice che avesse costruito mani meccaniche capaci di afferrare le navi, e tante altre cose. Ma i fatti sono: Archimede è riuscito a scoprire il legame tra area e circonferenza del cerchio. Come? Lo ha diviso come una torta. E ha detto: se prendiamo fettine infinitesime, la base diventa la circonferenza e l’altezza diventa il raggio”. Il risultato più importante riguarda i solidi: “Se metto una sfera in un cilindro, la superficie e il volume della sfera sono due terzi del volume del cilindro. È riuscito, quindi, a unificare due figure molto diverse. E a scoprire un piccolo miracolo: che il rapporto tra superfici e volumi è lo stesso. Non a caso, infatti, il retro della medaglia Fields raffigura un cilindro e una sfera. Si dice che Archimede se li fosse fatti incidere persino sulla tomba”.